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Una Scarpa è molto di piu’​ di un puzzle da 1000 pezzi

Da un articolo pubblicato su Linkedin nel 2019

 

Il 2019 si sta per chiudere e il bilancio del settore calzaturiero è molto preoccupante. Le Marche presentano un calo dell’export più marcato rispetto ad altre regioni italiane, insieme alla Campania e alla Puglia. Al di là dei dati nudi e crudi e di tutte le analisi che ho letto in questi ultimi mesi, sto cercando di capire anch’io, nel mio piccolo, dove sia la causa ( o le cause) di questa débacle marchigiana. Lasciando da parte le polemiche politiche e il piagnisteo indiscriminato, i dati a disposizione si possono riassumere più o meno in questo modo:

  • le imprese italiane hanno una tassazione proibitiva e una burocrazia elefantiaca, che le rende scarsamente competitive sui mercati internazionali.
  • le politiche di austerity imposte da Bruxelles hanno quasi azzerato il potere di acquisto delle famiglie, bloccando, di fatto, i consumi in tutta Europa.
  • le PMI italiane in generale e quelle marchigiane in particolare, presentano livelli di innovazione e digitalizzazione imbarazzanti.
  • L’Italia ha un grosso problema infrastrutturale e le Marche si trovano in una condizione disastrosa da questo punto di vista. Non solo è complicato raggiungere fisicamente le nostre zone, ma i costi e i tempi di trasporto delle merci sono esorbitanti.

 

Ora, come noto, il distretto Fermano-Maceratese ha recentemente ottenuto il riconoscimento di area di crisi complessa, e abbiamo l’opportunità di sfruttare questi aiuti economici per cercare di superare la crisi che sta decimando le nostre aziende. Si stanno facendo diversi incontri per capire quali siano i progetti da portare avanti in questo senso e tanto le imprese quanto le associazioni di categoria stanno facendo del loro meglio.

Qualche giorno fa, una persona che ritengo abbastanza competente, mi ha fatto notare come noi marchigiani non abbiamo la più pallida idea di cosa sia “Industria 4.0”, siamo convinti che un professionista del marketing sia una spesa improduttiva e non un investimento e non abbiamo ancora capito che fare “branding” non significa solo apporre il nostro logo sulle calzature. Fino a pochi anni fa, abbiamo preferito comprare auto di lusso e ville piuttosto che investire davvero nelle nostre aziende. Ha aggiunto inoltre che, probabilmente, le calzature non sono un prodotto che si può produrre in Italia, visto che possiede uno scarso valore aggiunto.

Forse è cos^. Esattamente come è lapalissiano che il nostro settore soffre di scarsa innovazione, ma occorrerebbe chiedersi cosa si intenda per valore aggiunto di un prodotto. E cosa significhi nella pratica calzaturiera il concetto di innovazione.

Potrebbe significare innovazione di prodotto. Potremmo creare un nuovo fondo costruito con una nuova mescola, un pellame ricavato dalla plastica o dalle fibre del grano e faremmo contenti Greta e i suoi seguaci. Potremmo costruirci sopra delle bellissime campagne promozionali, convincendo i consumatori che stiamo offrendo un prodotto sostenibile, termine che va molto di moda in questo periodo.

MA

Dobbiamo tenere a mente che una scarpa non è un soprammobile, va indossata ai piedi, deve sostenere il peso di tutto il corpo ( anche di quelli tra noi più sfortunati che non vanno tanto d’accordo con la bilancia), deve resistere agli urti, ai fondi sconnessi delle strade, alla pioggia, alla neve, al calore. E occorrerebbe, come minimo, avere a disposizione un folto gruppo di ricercatori e ingegneri chimici, laboratori attrezzati e personale sufficientemente formato per effettuare centinaia di test. Con dei costi esageratamente elevati, certamente non sopportabili da una piccola azienda artigiana.

Si potrebbe però formare un consorzio di aziende, magari cercando di raggruppare tutta la filiera produttiva in un unico grande contenitore che, grazie ai finanziamenti di Industria 4.0, potrebbe affrontare la sfida e creare un unico brand per il distretto, coinvolgendo i migliori professionisti del marketing per la sua promozione nel mondo. Ma si tratterebbe di un processo lungo e difficile, dagli esiti comunque incerti. Tempo che, purtroppo, le nostre PMI non hanno più a loro disposizione.

Allora, nel frattempo, mentre la politica si occupa di potenziare le infrastrutture potenziando l’Aeroporto di Ancona, chiedendo che il Freccia Rossa si fermi anche a Civitanova Marche e che venga prolungata la terza corsia dell’A14, si potrebbe pensare ad un’innovazione di processo. Nuovi macchinari e nuovi metodi produttivi. Belle parole sulla carta, ma, in pratica vorrei capire cosa significa. Se significa dotarsi di una piattaforma E-Commerce, mi sta bene, ma dobbiamo essere consapevoli che un cittadino di New York non atterrerà mai sul nostro sito se non sa nemmeno che esistiamo. Se significa investire in promozione e agire secondo strategie di marketing corrette e moderne, mi sta bene, ma perchè un consumatore dovrebbe scegliere il nostro invece che quello di altri? Se significa meccanizzare maggiormente delle fasi per risparmiare sui costi del lavoro, la conseguenza sarebbe una perdita dell’occupazione, almeno nel breve periodo. Se rinunciamo alla manualità, se abbandoniamo i metodi artigianali dei vecchi maestri calzolai, se uccidiamo l’anima dei nostri prodotti, cosa ci differenzierà dai nostri concorrenti cinesi o indiani? Perderemmo l’unico vero valore aggiunto costruito e modellato dai nostri nonni in tre generazioni.

Date le condizioni in cui ci troviamo, alcune delle quali dipendono dalla grettezza dei nostri imprenditori, altre dalle scelte politiche scellerate dei nostri governanti e altre ancora da fattori internazionali su cui non abbiamo nessun controllo, anche se riuscissimo a riconvertire le produzioni in maniera più tecnologica, non saremmo mai in grado di competere sul prezzo con tutti gli altri grandi produttori mondiali.

La verità è che progettare e realizzare una Scarpa con la S maiuscola è di gran lunga più complicato che ricomporre un puzzle da migliaia di pezzi. E io sono sempre più convinta che per il nostro settore, invece, bisognerebbe guardare al passato e ispirarsi a tutti quei geni rinascimentali che hanno creato i mosaici più belli del mondo. E insistere proprio su ciò che sappiamo fare meglio, combinare tutte le componenti di una scarpa con la maestria di cui siamo capaci , rendendola una vera e propria opera d’arte, fatta di dettagli, di lavorazioni manuali, di tamponature, di sudore, di profumi e di creatività. Lasciamo perdere la svolta green e i materiali riciclati e andiamo controcorrente, raccontiamo la nostra storia, quella vera, quella genuina, quella che restituisce valore alla sostanza e sorvola sull’effimero della forma.

E ricordiamoci che tre generazioni di artigiani questa storia l’hanno scritta. A noi l’onere di trovare chi la sappia raccontare per farla diventare un capolavoro, perchè per scrivere un buon libro ci vuole uno scrittore vero, non un menestrello di corte.

Sono passati 3 anni e la situazione è addirittura peggiore.

Cosa fare?

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