Intervista concessa ad una studentessa del Liceo Linguistico Leopardi di Macerata
Qualche giorno fa, mi è stato chiesto di rispondere a questa domanda:
Nella sua esperienza da scrittrice pensa di aver mai sentito il peso di essere giudicata ? Nel senso, mentre stava scrivendo le è mai capitato di pensare “vorrei proprio dire questa cosa” per poi però rifletterci e pensare “no non la scrivo, chissà poi cosa potranno pensare gli altri”?
Questa la mia risposta:
Innanzitutto, faccio una premessa: fin dall’età di 6/7 anni, ho sempre espresso opinioni e posto domande, anche scomode, in maniera diretta e sincera. E non ho mai avuto timore di denunciare azioni o circostanze che ai miei occhi apparivano come “ingiustizie”. Potevo essere redarguita o punita, ma in quel momento sapevo di essere dalla parte del giusto. Questo mio modo di fare, che non è cambiato molto negli anni, , dipende in parte dalla mia indole e in parte dall’educazione che ho ricevuto, sia dalla famiglia che dalla scuola o comunque da tutte quelle figure di riferimento che ho avuto durante l’infanzia e l’adolescenza.
Crescendo, ovviamente, mi sono resa conto che la sincerità e la schiettezza non sempre vengono apprezzate, e anzi, spesso comportano isolamento e conseguenze molto negative. Vengo ancora oggi rimproverata di scarsa diplomazia e , in alcune occasioni, ho anche cercato di nascondere le mie opinioni, per “quieto vivere” ovvero per conformarmi al “branco” sociale di riferimento in cui mi trovo a dover convivere di volta in volta.
Il risultato, però, non è dei migliori: oltre che un forte senso di frustrazione, non ho riscontrato e non riscontro nei fatti concreti, un miglioramento sostanziale nel raggiungimento dei miei obiettivi, grandi o piccoli che siano. Per fare un esempio: se siamo stati feriti dal comportamento di un’amica, ma invece di affrontarla e dirle apertamente che la sua azione per noi è stata fonte di sofferenza, facciamo finta di niente, cosa accade? Può accadere che, dopo mesi, ci ritroviamo a litigare con lei per una quisquilia. Perché quella quisquilia altro non è che il pretesto che attendevamo per buttare fuori la frustrazione accumulata a causa del primo malinteso. E non è detto che questa frustrazione non porti a dire cose che non pensiamo davvero e a rovinare per sempre quel rapporto. Ecco, io penso che, se fin dall’inizio avessimo detto con sincerità alla nostra amica, magari anche con veemenza, cosa non ci era andato bene del suo comportamento, lei si sarebbe potuta scusare, avrebbe potuto chiarire la sua posizione e la lite si sarebbe ricomposta, senza fraintendimenti.
La scrittura ha rappresentato per me, fin dall’adolescenza, un mezzo molto efficace per esprimere in forma privata tutto quello che le “convenzioni” sociali mi impedivano di fare al 100%. E, rileggendo i miei diari a distanza di anni, mi ha dato la possibilità di valutare e giudicare me stessa senza filtri, comprendendo gli errori e aumentando l’autostima personale quando potevo riconoscere la bontà dei miei pensieri o delle mie azioni raccontati in quelle pagine ingiallite.
Quando ho deciso di scrivere il mio primo romanzo, l’ho fatto di getto, per rispondere ad un bisogno personale, senza pensare di essere una letterata, né di potermi guadagnare un consenso sulla mia persona. Era semplicemente il mio sogno nel cassetto e l’ho realizzato. Ero consapevole di poter incorrere in critiche, malintesi e giudizi negativi da parte degli eventuali lettori in generale e di alcuni in particolare. Ho riflettuto sull’opportunità di scrivere o non scrivere alcune cose; mi sono interrogata sulla mia personale e autentica volontà di far entrare estranei nella mia sfera più intima, perché scrivere significa innanzitutto mettersi in discussione e mettere a nudo la propria anima.
Ho avuto e ho ancora adesso il timore di essere giudicata mediocre dal punto di vista letterario o addirittura presuntuosa per voler tentare di vendermi come la scrittrice che non sono. Ma, forse grazie alla mia buona fede e alla mia indole sincera, sicuramente grazie all’educazione ricevuta, ho deciso di pubblicare il mio romanzo senza preoccuparmi di niente e di nessuno.
Sono convinta che essere se stessi e mostrarsi sempre per ciò che si è realmente sia un imperativo da cui non si può scappare, perché prima o poi la vita ci presenterà il conto delle nostre ipocrisie. Credo che con l’educazione e il rispetto del prossimo si possa dire tutto e manifestare sempre le proprie convinzioni. A patto di avere l’umiltà di riconoscere che ci sarà sempre qualcuno che ne sa più di noi, che l’essere umano è di per sé imperfetto ma perfettibile e solo attraverso lo studio, l’impegno e l’onestà intellettuale è possibile sbagliare e correggersi, senza farsi manipolare dall’esterno. Se si è convinti di qualcosa e se le nostre convinzioni sono sorrette da argomentazioni solide, non bisogna avere paura di esprimersi. Occorre però avere l’onesta intellettuale di accettare le critiche, ascoltare le argomentazioni di chi non la pensa come noi, pronti anche a cambiare idea se necessario, perché solo gli stolti non la cambiano mai. Non possiamo piacere a tutti, ma possiamo fare in modo che il nostro pensiero critico cresca e si rafforzi giorno dopo giorno, per evitare di essere sopraffatti da ideologie o comportamenti che non ci appartengono. E in questo triste e difficile momento storico che stiamo vivendo, solo coltivando il coraggio di essere se stessi e la forza di abbandonare inutili ipocrisie, si può sperare di costruire un futuro migliore.
E’ questo l’augurio che faccio a te e a tutte le nuove generazioni.
Nel tempo dell’inganno, dire la verità è un atto rivoluzionario. (George Orwell)
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